La scienza non è definibile secondo un sistema di cassetti nettamente separati tra di loro, ma spazia in aree più ampie e si intreccia con se stessa. La fisica applicata alla medicina è una manifestazione di questo polimorfo processo di fusione e rimescolamento continuo.
Per esempio, un'applicazione pratica in questo settore è il ciclotrone.
Cos’è un ciclotrone?
Il ciclotrone è un acceleratore circolare di particelle cariche che sfrutta una tensione alternata ad alta frequenza e un campo magnetico. È stato sviluppato nel 1934 dal fisico statunitense Ernest Orlando Lawrence ed è attualmente utilizzato in ambito medico per la produzione di radioisotopi e per il trattamento dei tumori.
Struttura del ciclotrone
Il ciclotrone è composto da varie parti:
sorgente di particelle cariche;
campo magnetico costante generato da due poli magnetici;
campo elettrico alternato generato da due elettrodi cavi semicircolari (le “D”);
generatore di tensione alternata.
Il principio di funzionamento richiede la conoscenza di qualche concetto base di fisica classica. I due elettrodi cavi semicircolari sono posti uno di fianco all’altro, intercalati da uno spazio vuoto. Questi vengono collegati al generatore di tensione alternata, che servirà all’accelerazione delle particelle. Intorno viene installato un campo magnetico grazie all’influenza di due poli magnetici.
Funzionamento del ciclotrone
La sorgente di particelle cariche, prendiamo d’esempio il protone, rilascia il prodotto all’interno dello spazio vuoto tra i due elettrodi, i quali accelerano la particella nella direzione del campo elettrico (uscente dall’elettrodo positivo ed entrante nell’elettrodo negativo). Quando il protone entra nell’elettrodo è presente solo l’influenza del campo magnetico (uscente dal polo nord ed entrante nel polo sud), qui subisce solo un’accelerazione centripeta che gli permette di cambiare direzione secondo un moto circolare di un certo raggio e di ritornare in uscita nello spazio vuoto tra gli elettrodi. Il processo ricomincia, ma in senso opposto: il protone viene accelerato dal campo elettrico (questa volta la tensione alternata ha invertito il segno degli elettrodi e lo spostamento della particella avviene nel verso contrario), per poi rientrare nell’elettrodo e subire solo l’accelerazione centripeta grazie al campo magnetico.
Ad ogni passaggio, in realtà, non solo la particella viene accelerata e curvata, ma anche il raggio di curvatura viene aumentato. Si tratta di una conseguenza di quello che avviene a causa del campo elettrico: siccome la velocità della particella aumenta sempre di più, il raggio incrementa ad ogni giro ed il moto del protone risulta essere a spirale.
Una volta raggiunto il raggio massimo possibile, ovvero quello delle D cave cariche, le particella accelerate a velocità prossime a quelle della luce (c=3,00x108m/s) esce dal ciclotrone nella direzione del vettore velocità tangente all’ultima semicirconferenza percorsa fino a colpire il target impostato.
Leggi della fisica classica: la forza di Lorentz
Quali sono le leggi fisiche a cui facciamo riferimento per il funzionamento del ciclotrone? La risposta è semplice: la forza di Lorentz.
La forza di Lorentz è la forza che si esercita su un oggetto elettricamente carico per effetto di un campo elettromagnetico ed è esprimibile attraverso la seguente formula matematica:
Sono visibili chiaramente entrambe le componenti: da una parte il campo elettrico e dall’altra quello magnetico. È quest'ultimo che permette che ci sia la curvatura attraverso il prodotto vettoriale tra la velocità e il campo magnetico, da eseguire attraverso la regola della mano destra. Ciò significa che il vettore v viene posizionato sul pollice, il vettore B sull’indice e il medio indica la direzione della forza di Lorentz e quindi quella dell’accelerazione centripeta.
Con la stessa legge possiamo anche vedere come cambia il raggio di curvatura a causa della dipendenza dalla velocità. Infatti, basta porre che la forza di Lorentz corrisponde alla forza centripeta, per poi operare i passaggi successivi:
Continuando i calcoli si può anche dimostrare che il periodo di inversione del campo elettrico rimane costante per tutto l’esperimento, siccome non dipende dal raggio variabile:
dato che
allora
Limiti e soluzioni
Nonostante sembri che tutto funzioni perfettamente, il ciclotrone presenta dei limiti da prendere in considerazione per il futuro della ricerca. Infatti, il problema più rilevante è che, per ottenere energie elevate, è necessario aumentare le dimensioni della camera a vuoto, del magnete e dell’intensità del campo magnetico. Un fattore limitante del ciclotrone è dovuto agli effetti relativistici agenti sulle particelle, le quali vedono effetti equivalenti all’aumentare della loro "massa" (γm) seguendo l’andamento del grafico in figura.
Il problema deriva dalla dipendenza della frequenza del ciclotrone dalla suddetta “massa” e può essere risolto solo aumentando il campo magnetico cioè cambiando la forma dei magneti, in funzione della variazione del raggio.
Siccome questo rischia di provocare una destabilizzazione verticale del fascio, la focalizzazione viene mantenuta grazie alla modifica della forma del ciclotrone. Il ciclotrone AVF (Azimuthally Varying Field), infatti, viene diviso in settori (hills and valleys) in cui i campi magnetici hanno dei valori medi differenti e le particelle cominciano ad oscillare intorno ad un’orbita circolare.
Un altro modo di risolvere i problemi relativistici è quello di operare sulla frequenza. Con questo scopo, i fisici e gli ingegneri sono riusciti a progettare il sincrociclotrone, il quale è in grado di accelerare solo pacchetti di particelle (bunches) e non più un fascio continuo. Il sincrotrone, invece, supera il problema della dimensione del ciclotrone e della limitatezza delle dimensioni del campo magnetico, il quale viene reso variabile.
Ciclotrone del laboratorio dell’Università di Berna: applicazioni in campo medico
Il ciclotrone IBA (Ion Beam Application, Belgio) dell’Università di Berna (Universität Bern: Albert Einstein Center for Fundamental Physics) si trova collocato in un laboratorio sotterraneo.
STRUTTURA LABORATORIO
La porta del bunker
Per accedere al bunker è necessario superare una PORTA fabbricata in Italia di 24 tonnellate e spessa 1,80 m, la quale si può aprire pigiando un pulsante che aziona un motore che la fa muovere liberando l’accesso al laboratorio. É davvero necessario questo passaggio? Sì, infatti, quando si fanno gli irraggiamenti, le particelle producono dei neutroni che devono essere fermati per non passare fuori dalla stanza dove avviene l’esperimento. Per fare ciò, si utilizza un’imponente quantità di cemento, materiale di cui è fatta la porta.
Entrati nella stanza appena aperta, ci si trova davanti a vari apparati, i quali si collegano al macchinario posizionato al di là del muro per le stesse motivazioni prima menzionate: il ciclotrone. Questo fa accelerare le particelle attraverso un movimento a spirale, le quali vengono poi incanalate in un tubo all’interno del bunker.
Pericolo radiazioni
Prima di entrare nel laboratorio, bisogna utilizzare un Contatore Geiger che misuri la quantità di radiazione presente nell’aria e proveniente dall’esperimento. Ovviamente, al di fuori del bunker il valore è pari al fondo naturale (circa 0.1 μSv/h), ma mano a mano che ci si avvicina questa comincia ad aumentare, soprattutto nel punto in cui sbatte il fascio di particelle. L’importanza del controllo della radiazione è constatabile anche nel momento in cui si entra nel laboratorio, dato che è necessario indossare un piccolo contatore a clip dotato di un sistema che tenga conto della quantità di radiazione con cui si entra in contatto all’interno delle stanze in un multiplo di unità di misura minuscola: μSv (micro-sievert). In verità, ogni giorno entriamo in contatto con una dose di sostanze radioattive che risulta nel totale di un anno in media 2,4 mSv a causa delle emissioni provenienti da terra o dallo stesso cosmo, ma l’uomo è stato in grado di svilupparsi ed adattarsi a condizioni di questo tipo che non gli causano problemi.
La situazione si complica solo quando a questa quantità di base si cominciano ad aggiungere altre dosi di radiazioni provenienti da sorgenti diverse. Per questo motivo, si è obbligati a tracciare la quantità di sostanze radioattive che “ingeriamo” e a registrarli nel database che è responsabile del controllo dell’andamento delle assunzioni. Se i dati indicano una “consumazione” eccessiva di radiazioni, è necessario giustificarne e spiegarne il perché. Il laboratorio di Berna di giorno, però, continua ad essere sicuro da visitare, in quanto, prima di uscire, il visitatore deve misurare su una sensore di radiazione mani-piedi la quantità di sostanze radioattive eventualmente presenti (se qualcosa va storto, in caso di emergenza c’è la possibilità di attivare una sorta di “doccia rigeneratrice”) e alla fine deve trascrivere su di un foglio la quantità radioattiva descritta sul contatore a clip all’inizio e alla fine del giro compiuto (quasi sempre la dose di radiazioni ricevuta finisce per essere nulla).
Particelle accelerate: dal ciclotrone alla pratica
La camera aperta ai visitatori non è in via diretta quella del ciclotrone ma si tratta della Beamline, ovvero l’apparecchiatura di focalizzazione che la particella è costretta a compiere da quando esce dal ciclotrone stesso fino al punto in cui viene effettivamente sfruttata attraverso lo scattering con l’acqua arricchita (H2O18).
In realtà, ad essere accelerato non è esattamente un protone. La procedura parte da una molecola di idrogeno (H2) formata da un protone nel nucleo ed un elettrone nell'orbitale di energia più basso. Questa viene “spaccata” con un electric arc e l’atomo di idrogeno ionizzato aggiungendo un elettrone: è così che si ottiene lo ione idrogeno negativo (H-).
Prima di procedere, bisogna assegnare un valore adeguato al campo magnetico, dato che è necessario farlo andare in risonanza con la radiofrequenza del campo elettrico. Ciò significa che deve essere aggiustato affinché mandi la particella carica negativamente nella giusta direzione: se fosse troppo grande, l’H- rimarrebbe a compiere un movimento a spirale troppo stretto all’interno del ciclotrone; se fosse troppo piccolo, il raggio sarebbe così ampio da far sbattere immediatamente l’H- contro il muro del laboratorio.
Quando lo ione deve essere “buttato” fuori dal ciclotrone, lo si fa entrare in un’appendice in grado di ruotare chiamata stripper. La sua posizione è perpendicolare alla traiettoria della particella quando questa viene fatta uscire perché i carbon foils presenti nello stripper riescono a bloccare i due elettroni nello scontro con lo ione ed a lasciare che a continuare il suo tragitto sia solo il protone. A quest’ultimo viene poi applicato un campo magnetico opposto al precedente affinché curvi in direzione contraria grazie alla forza di Lorentz. A questo punto, il protone esce dall’influenza del campo magnetico e viene spedito ad attraversare un foro nel muro. Questo è il momento in cui si scontra con il target che contiene l’acqua arricchita.
APPLICAZIONI IN CAMPO MEDICO (PET)
A cosa servono i protoni accelerati dal ciclotrone? L’applicazione medica che giustifica la presenza del ciclotrone vicino all’ospedale e la sua attività notturna è la Positron Emission Tomography (PET). Vediamo perché.
L’arricchimento dell’acqua (la più costosa al mondo)
I protoni (H-) che fuoriescono dal ciclotrone sono utilizzati per bombardare un’acqua molto peculiare. Se, infatti, la composizione dell’acqua che abbiamo tra le mani ogni giorno è costituita per la maggior parte di molecole di H2O con dell’ossigeno dal numero di massa pari a 16 (formato da 8 protoni e 8 neutroni) e solo in una minor parte da numero di massa pari a 18 (8 protoni e 10 neutroni), nell’acqua del laboratorio è esattamente l’opposto. La disponibilità di bottiglie contenenti quest'acqua non è da dare per scontata, dato che deriva da un processo artificiale di arricchimento che viene a costare così tanto che 1 litro verrebbe 50.000€. Inoltre, la necessità di possederla le dona ancora più valore: viene utilizzata per la produzione di radiofarmaci, ovvero traccianti radioattivi.
Fluoro-18: produzione
Infatti, l’acqua formata in prevalenza dall’ossigeno 18 (H2O18) viene fatta colpire con i protoni accelerati dal ciclotrone e, di conseguenza, viene trasformata per la maggior parte della sua quantità in fluoro-18 (18F, formato da 9 protoni e 9 neutroni) secondo il meccanismo della reazione nucleare di tipo (p,n):
In realtà, per essere più pignoli, il fluoro-18 si ottiene in forma di acido fluoridrico (HF), dal quale si ottiene il fluoruro-18 (18F-).
Dato che si tratta di una sostanza che decade molto più velocemente rispetto ad altre particelle instabili e radioattive (tempo di dimezzamento pari a circa soltanto 110 minuti), il ciclotrone è operativo solo durante le ore della notte e vicino all’ospedale a cui è affibbiato. In questo modo, la mattina si hanno le molecole “fresche” a disposizione per il reparto radiologia e per tutto il giorno si usano in ambito medico mentre il una parte del ciclotrone è “visitabile” precauzionalmente con i dovuti mezzi di protezione (camice bianco, copri-scarpe e tracciatore dei livelli di radioattività).
Fluoro-18: radiotracciante per imaging
Perché il fluoro-18, radionuclide artificiale estremamente instabile, è così importante nell’ambito sanitario? Nella camera calda, luogo predisposto per i radioisotopi, il fluoruro-18 (18F-) viene immediatamente sintetizzato al deossiglucosio attraverso un processo chimico radiofarmaceutico di addizione nucleofila (il fluoruro prodotto sostituisce il gruppo ossidrilico OH del Carbonio in posizione 2) e poi dispensato in contenitori piombati sotto forma di fluorodesossiglucosio (18F-FDG).
Questo tipo di radiotracciante è usato per la localizzazione della massa tumorale attraverso tecniche di imaging come la PET. Il funzionamento deriva dall'effetto Warburg, teorizzato e sperimentalmente confermato dal medico tedesco Otto Heinrich Warburg negli anni ‘30. Il fenomeno interessa le cellule cancerogene che, a causa della loro eccessiva attività, hanno bisogno di bruciare molto più glucosio rispetto alle cellule sane - attività glicolitica fino a 200 volte superiore.
Il 18F-FDG viene incorporato nelle cellule del paziente per mezzo di una somministrazione endovenosa nell’avambraccio in minuscola quantità, solitamente si fa fede allo standard di 1 millimetro. Infatti, l’energia della radiazione deve essere sufficientemente elevata per fuoriuscire dal corpo e sufficientemente bassa da poter essere registrata dai rivelatori. Il tracciante raggiunge le cellule cancerogene in quantità considerevole, cosa che permette di individuare il tessuto d’interesse dell’esame.
Quando il radiofarmaco si rende protagonista di un decadimento di tipo β+, produce un neutrino ed un positrone (e+, antiparticella dell’elettrone). Questo si annichilisce con uno degli elettroni, convertendo tutta la massa in energia sotto forma di raggi gamma, più nello specifico in una coppia di fotoni (511 keV ciascuno) emessi nella stessa direzione in versi opposti (angolo di 180° tra l’uno e l’altro). Il tomografo del PET scanner, analizzando con degli algoritmi le intersezioni tra le traiettorie dei fotoni emessi, ricostruisce una mappa 3D che evidenzia con diversi colori la regione interessata.
Dato che la PET è un puro esame funzionale fisiologico, è spesso necessario affiancare una Tomografia Assiale Computerizzata (TAC o più semplicemente TC) che fornisca anche informazioni morfologiche e anatomiche. L’utilità principale di queste analisi riguarda la possibilità per il medico di comprendere come il paziente stia reagendo alla terapia o se ci sono state metastasi del tumore.
Sitografia
Ringrazio in primo luogo il Prof. Dr. Saverio Braccini per avermi dato una mano con questo articolo. Inoltre, ringrazio il Dr. Isidre Mateu e Alexander Gottstein per avermi fatto da ciceroni e insegnanti per un giorno intero al ciclotrone del Laboratorio medico dell'Università di Berna.
Al prossimo articolo!
L(&A)
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