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Vittorio Alfieri (1) - Vita e pensiero

Vittorio Alfieri (1749-1803) è un autore che vive nel periodo dell'illuminismo, ma che si distanzia dagli altri intellettuali del suo tempo. Si tratta di un personaggio molto polemico e con un ego abbastanza imponente, tanto che la sua opera più importante è autobiografica: “Vita scritta da esso”.

In questa opera lui racconta la sua vocazione letterario-artistica che lo spinge a scrivere a 26 anni quasi per caso. Per tutta la vita ha avuto un grande nemico, cioè la tirannide, l’assolutismo che ha cercato di combattere e contrastare, anche se non è riuscito mai a trovare una soluzione o un’alternativa ad essa.

Vita

Alfieri nasce ad Asti, in Piemonte, nel 1749 da una famiglia nobile (presto rimane orfano di padre). Essendo parte di questa classe sociale, assume l’atteggiamento sprezzante dell’aristocratico, anche se nel corso della sua vita arriverà a rifiutare anche questo.

Lui si compiaceva dell’indipendenza economica e sociale di cui godeva, di non avere la necessità di dover sottostare agli ordini di nessuno. Infatti, è stato un autore che ha scritto per se stesso, non ha avuto bisogno di fare altri lavori o di dipendere da protettori e finanziatori (aristocratico che ha dedicato il proprio otium alla letteratura).

Fin da piccolo ha assunto un atteggiamento malinconico, solitario e ribelle. Viene educato alla Reale Accademia di Torino ma ricorda quel periodo come un periodo di ineducazione dovuto ai suoi pessimi insegnanti, i quali non erano aperti alle novità ma si basavano su una conoscenza dogmatica (gli veniva sequestrato l’Orlando Furioso se provava a leggerlo).

Uscito da lì compie il gran tour, tipico dei giovani ricchi del tempo, in cui fa un giro dell’Italia e dell’Europa: visita Parigi, Inghilterra, Austria, Olanda, Russia. Alfieri ricorda questo periodo durato 5 anni come una fase in cui si prefiggeva un obiettivo e una volta raggiunto voleva ripartire, perché non aveva più interesse nel restare.

Conduce una vita rocambolesca, tra amanti varie. Una sua grande passione sono i cavalli, infatti, ogni mattina ne cavalcava uno per sfogarsi e rilassarsi e qualche volta capitava che dormisse in stalla. Alla fine della sua vita aveva collezionato 19 cavalli, non a caso tanti quante le sue tragedie.

Lapponia svedese (Svezia)
Lapponia svedese (Svezia)

Alfieri era polemico nei confronti di tutto ciò che incontrava, ad esempio per lui il re francese era altezzoso, vanitoso e supponente, mentre la Prussia era una grande caserma a cielo aperto. I luoghi che lui ammirava tanto erano gli spazi desolati o desertici. Ha apprezzato qualche angolo dell’Olanda, ma per lui la migliore era la Scandinavia, luogo ideale in cui vivere. Uno dei motivi per cui non si poteva sentire a casa da nessuna parte era anche la presenza costante della tirannide monarchica, dell’assolutismo che lui avrebbe voluto combattere.

Per questo motivo sente sempre il desiderio costante di fuggire e si rende conto che ciò accade perché non ha ancora trovato la sua vocazione, non sa come dare un senso alla sua vita.

Dopo aver concluso questi viaggi, torna in Piemonte e va a Torino, dove si mostra ostile alla nobiltà sabauda e conduce la vita del giovin signore (proprio come quello descritto da Parini). Inoltre, vive un amore con a Marchesa Gabriella Turinetti, la quale però lui ricorda come fonte di angoscia e di dolore.

In questo periodo inizia ad avvicinarsi alla letteratura, studiando Voltaire, Rousseau, Montesquieu e soprattutto Plutarco, autore greco che ha pubblicato l’opera “Vite parallele” in cui trattava in parallelo le vite di eroi greci. Proprio in relazione a ciò, Alfieri riconosce che nella vita ci può essere qualcosa di grande da inseguire e da realizzare, ma non capisce ancora quale può essere questo obiettivo nella sua vita. Nonostante ciò, si riconosce già il suo percorso di avvicinamento alla letteratura, dato che fonda anche una sorta di società letteraria.

Lui racconta che l’inizio della sua attività letteraria avvenne per caso: mentre la sua donna era a casa malata e lui la stava accudendo, per la prima volta prende la penna in mano e scrive la tragedia “Antonio e Cleopatra”, in cui è riuscito a creare un parallelismo con il rapporto che lui aveva con la Marchesa Gabriella. Alfieri si rende conto che nella letteratura ci sono la vita e i sentimenti delle persone. Considera la letteratura come una sorta di catarsi, una purificazione, luogo dove poter sfogare le proprie passioni.

E’ così che lui ha scoperto la sua vocazione di poeta tragico, però, con la consapevolezza di avere vuoto. Infatti, rispetto agli altri letterati lui non possiede una preparazione e per questa ragione si occupa dello studio dei classici latini e italiani (“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” occuparsi della scrittura). A ciò si aggiunge che dovette anche studiare la lingua italiana, dato che lui parlava e scriveva francese come tutti i nobili piemontesi. Per occuparsi della lingua italiana risiede in Toscana (=> Manzoni). In particolare a Firenze conosce quello che lui definisce il degno amore che gli darà pace: la Contessa Luisa Stolberg d’Albany.

Arrivato a questo punto Alfieri sente di dover compiere atto forte contro nobiltà sabauda e perciò rinuncia ai suoi beni in favore della sorella, lasciandosi una rendita vitalizia che gli permette di fare da mecenate a se stesso, continuare i suoi studi e scrivere in tranquillità.

In tutto questo continua la sua attività di scrittore e torna spesso a Parigi perché lì c’erano le tipografie più importanti in cui poteva pubblicare le sue opere. Si trova qui anche nel luglio del 1789, periodo critico della storia francese a causa della rivoluzione. Alfieri scrive in omaggio ad essa l’ode “Parigi sbastigliato” perché gli sembra che l’opposizione possa abbattere gli antichi privilegi. Quando si rende conto delle degenerazioni, si discosta da questa (<= Blake) e va a smascherare quella che secondo lui era la nuova tirannide borghese.

Riesce a rientrare in Italia incolume e si ritira in solitudine sprezzante e sdegnosa che l’ha accompagnato per tutta la vita. Muore nel 1803 a Firenze e viene sepolto tra i grandi letterati a Santa Croce (=> Foscolo).


Rapporti con l’illuminismo

Nonostante egli viva nel ‘700, si ritrova fuori dalle idee del tempo, ma allo stesso tempo non sono ancora nati in lui i valori del romanticismo (si trova a cavallo tra i due movimenti). Sicuramente il suo orizzonte mentale è stato influenzato dai valori illuministici, in quanto la sua formazione è partita proprio con la lettura di questo tipo di testi, ma si è anche discostato da essi.

Ad esempio, lui rifiuta la scienza, perché pensa che sia qualcosa di freddo e matematico che spegne l’immaginazione e non dà la possibilità di esprimere le proprie emozioni e passioni. E’ sicuramente lontano dal gruppo di letterati che invece promuove l’idea di progresso, mentre lui ha paura che questo progresso economico possa far emergere una classe sociale (la borghesia) estremamente materialistica e avida.

E’ vero anche che c’è una parte della letteratura illuministica in cui si sviluppano idee personali con ideali importanti, ma è comunque una letteratura che celebra la misura e tiene a bada gli impulsi profondi. Invece, Alfieri è il poeta della dismisura, che vorrebbe dare sfogo alle sue passioni senza limiti e freni, portandole all’estremo.

Rifiuta anche il filantropismo, testimoniato anche dal suo vivere isolato e dal pensiero che non siamo in realtà tutti uguali, perché gli eroi sono diversi dagli uomini comuni.

Non crede nemmeno nel cosmopolitismo, perché se gli illuministi che viaggiavano credevano di poter trovare la propria appartenenza ovunque, Alfieri pensa di essere straniero ed un estraneo in qualsiasi luogo.


Ideali politici

Le sue idee hanno una matrice illuministica anche se è diversa, infatti il suo egocentrismo ed individualismo lo portano a non identificarsi con nessun partito perché non si riconosce in nessuna idea. Tutto ciò scaturisce un odio generale contro tutti.

Nella sua vita si possono rintracciare due filoni: l’avversione verso la tirannide e la ricerca della libertà, ma anche questa rimane astratta. Infatti, lui si entusiasma per rivoluzioni, ma poi si rende conto che il loro svolgimento non viene attuato per la libertà ma per ragioni materiali.

Con Alfieri si sviluppa il titanismo, concetto ripreso soprattutto durante il romanticismo e con Leopardi. Questo termine prende ispirazione dal mito dei Titani, figli di Urano e Gea, che si erano ribellati a Zeus insieme a Prometeo (aveva rubato il fuoco e lo aveva consegnato agli umani) e per questo erano stati puniti. Il titanismo consiste in una forma di rifiuto e di ribellione verso qualsiasi autorità (vicina alla hybris, la quale però riconosce il valore dell’autorità stessa). Il titano è un personaggio che è sempre vinto materialmente ma mai spiritualmente, perché la sua ribellione non lo porta mai ad avere la meglio, però rimane indomabile perché non si piega dinanzi agli eventi della vita o alle scelte di qualcun altro.

In Alfieri il titanismo si collega al rifiuto della realtà sociale e politica, la solitudine sprezzante e sdegnosa, la malinconia, l’inquietudine e l’ideale di una grandezza quasi sovrumana (lui crede che ci sono uomini che possono fare qualcosa di grande, lui è uno di questi e il suo obiettivo è la poesia tragica).

Da una parte lui sente questa grande forza dentro di sé che vuole emergere, ma a ciò si aggiunge il pessimismo: è consapevole dei limiti propri ed esterni, quindi c’è già in partenza l’idea di qualcosa che andrà a fallire (idea di miseria e insufficienza umana che non può nulla contro certi eventi, accompagnata da una tensione forte ma anche dal senso di impotenza e sconfitta).


Al prossimo articolo!

L(&A)

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