Dialoghi sulle dimensioni temporali - Centenario Liceo Scientifico G. Alessi
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In occasione dei festeggiamenti dei cento anni dalla sua nascita, il Liceo Scientifico Galeazzo Alessi propone un convegno esclusivo organizzato dagli studenti per gli studenti il 27 maggio 2023. Attraverso la forma del dialogo libero e spontaneo, si è cercato di esplorare le tre dimensioni temporali, passato, presente e futuro, alla scoperta dei fili di interconnessione che fanno di questa quarta dimensione una sostanza fluida che scorre e ci porta inevitabilmente con sé.
Per questo motivo, la conferenza è stata animata da domande, dubbi, e spunti riguardo alle tematiche di maggior interesse per ogni momento temporale, stimolando la platea mediante riflessioni donate dai rispettivi esperti del settore.
Passato - Eugenio Lo Sardo, Marco Ramazzotti
Seguendo l’interpretazione lineare del tempo e proponendo una impostazione cronologica, si dà inizio al convegno con un’indagine sul passato attraverso le figure di spicco dei professori Eugenio Lo Sardo e Marco Ramazzotti, rispettivamente ex Direttore degli Archivi di Stato a Roma e ricercatore nell’ambito dell’Archeologia e della Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico, interpellati da Laura Francesca Iacob e Francesco Pelliccia.
Partendo da un’analisi generale della storia in sè, in grado di arricchire l’individuo sia come singolo che come collettività, si ragiona sulla ricostruzione della storia. Essendo entrambi i relatori degli esperti di storiografia, ci si chiede quale sia il modo in cui il passato possa parlarci di se stesso nell’età odierna attraverso le fonti. In relazione a questo, si propone una riflessione riguardo alla non esistenza del passato, in quanto questo è sempre e costantemente in dialogo con il presente.
Nonostante il parere più comune, la storia si dimostra essere liquida anch’essa ed in continua rielaborazione. L’impiego dello storico, infatti, consiste nel proporre delle teorie sulla base dei documenti posseduti e continuamente provare a verificare o a smentire queste in base alle nuove fonti in gioco. Come fosse il metodo scientifico applicato alla studio della storia, si deve però tenere in considerazione che, diversamente dal processo che lo scienziato può replicare in laboratorio con un esperimento, questo non può essere messo in atto dallo storico, vincolato a muoversi solo nella propria dimensione presente.
Continuando la riflessione sulla decifrazione delle nostre radici, i professori si trovano in accordo sulla questione dell’interconnessione tra la storia ed altre discipline che inevitabilmente procurano informazioni utili alla visualizzazione più ampia di ciò che è stato. A ciò si aggiunge la pluralità di voci che infestano il racconto e che possono arricchirlo, facilitandone la lettura, o di contro dimostrarsi discordanti, rendendone più difficile l’interpretazione ed il discernimento tra la narrazione (“historia rerum gestarum”) e l’evento storico in sè (“res gestae”) alla conferma dell’ambivalenza tra verità e storia.
Proiettando il discorso verso l’Età moderna, si evidenzia il ruolo svolto dalla tecnologia, ormai diventata appendice stessa dell’uomo e quasi un oracolo che sembra falsamente poter rispondere ad ogni nostra domanda. La digitalizzazione dei documenti storici risulta in un danneggiamento per le informazioni che questi possono portarci dal passato. Difatti, l’analisi della fonte storica non concerne solo la decifrazione del contenuto scritto, ma anche l’analisi delle caratteristiche più propriamente fisiche dell’oggetto. In questa misura, risulta evidente anche il ruolo indispensabile svolto dagli archivi, che rendono direttamente accessibile la documentazione necessaria alla verifica delle notizie circolanti senza che ci sia la mediazione di un dispositivo che altera la percezione dell’elemento in analisi.

Si conclude la discussione con gli occhi puntati verso il soffitto della Chiesa di San Francesco al Prato, a dimostrazione della convivenza in perfetta armonia tra passato, presente e futuro.
Presente - Fabrizio Pompei, Ambrogio Santambrogio
Nella continuazione delle argomentazioni appena esposte, Matteo Cordelli Luciani e Margherita Farnelli introducono gli interventi del sociologo Ambrogio Santambrogio e dell’economista Fabrizio Pompei.
Sulla questione della rivoluzione digitale che si sta radicalizzando nella nostra società, i due esperti ne evidenziano la continua e repentina evoluzione a cui anche le scuole e le università provano a stare al passo, zoppicando. Uno degli aspetti negativi di questo processo riguarda la formazione tecnica proposta con i continui corsi di aggiornamento, la quale rischia di diventare troppo specifica ed in breve tempo obsoleta, in quanto quasi nell’immediato la tecnologia stessa in analisi diventa obsoleta e necessariamente sostituta da altre più all’avanguardia. Dato che stare al passo con questo avanzamento repentino risulta addirittura quasi controproducente, si ritiene che si dovrebbe dare maggior importanza alle competenze meta-cognitive. Ci si riferisce all’acquisizione di un metodo per imparare ad apprendere, più che alla formazione specifica e settorializzata per un particolare tipo di azione. A queste si auspicano parallelamente anche le competenze relazionali, come la gestione del lavoro di gruppo, la collaborazione e la coordinazione di esperti in settori diversi, dato che non si può pretendere di poter come singolo curare un aspetto fenomenologico a 360° senza coinvolgere menti differenti che propongono nuovi competenti punti di vista.
Facendo un’analisi causale sulla rivoluzione industriale, risulta evidente come i risvolti nell’epoca odierna siano controversi. Basti pensare che questa nasce in prima istanza per sopperire ad una domanda sul piano bellico per la Seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda e che, una volta esteso il suo impiego, è riuscita ad operare un miglioramento sulle condizioni di vita degli uomini. Questo risvolto positivo, in atto nonostante il fenomeno crescente della disoccupazione causato dall’introduzione stessa delle macchine, sta per forza di cose diminuendo: gli economisti registrano un allarmante calo dei tassi di crescita ed un notevole rallentamento dell’economia che interessa soprattutto i paese ricchi. Dato che non è la prima volta che l’uomo viene rimpiazzato dalla macchina all’interno del processo produttivo, si evidenzia la necessità di regolamentare e reindirizzare la tecnologia dell’automazione attraverso un intervento dello Stato stesso. Infatti, si ha la necessità di un cambio di direzione, che vede la tecnologia sulla scia del labour-friendly, che non serva a sostituire l’uomo ma ad occuparsi, ad esempio, di energia pulita o di prevenzione dei disastri geologici.
In relazione alla tematica ambientale, si parla di come il problema non sia instaurato tra l’uomo e l’ambiente ma nelle relazioni tra uomo e uomo, all’interno del quadro problematico di giustizia internazionale. Ovvero, il modello di sviluppo notevole che regna nel nostro presente è quello degli USA, le cui orme vogliono essere ripercorse dai paesi in via di sviluppo, come la Cina. Questi ultimi prendono spunto dal processo di crescita repentina ed altamente inquinante statunitense, pretendendo anacronisticamente di poterlo imitare oggi senza che si presentino conseguenze disastrose. Da qui nasce il bisogno di ideare un nuovo modello evoluzionistico, il cui esempio deve essere dato dai paesi già sviluppati. Questo processo può avvenire soltanto nella prospettiva kantiana di un percorso collettivo, dove per “sviluppo” non si intende necessariamente crescita e con “sostenibile” ci si riferisce alla volontà di proiettare il nostro eco nel futuro.
Futuro - Luca Gammaitoni, Alessandro Londei
Con lo sguardo rivolto verso l’ignoto, i professori Francesco Brizioli e Filippo Ubertini propongono un dialogo con i due fisici Luca Gammaitoni, specializzato in noise in physical systems, e Alessandro Londei, ricercatore per Sony CSL a Roma.
Il dialogo nasce da uno spunto prettamente letterario attribuito al poeta Giacomo Leopardi:
“Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano. Perché apre delle possibilità, non certezze. Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito.”
La conversazione ha come punto di partenza il concetto di incertezza e di come questo sia da assumere come nostro “abito da indossare ogni giorno”, dice il professor Gammaitoni. L’incertezza non è altro che la struttura intrinseca della natura, come testimoniato dalla meccanica quantistica che, citando il professor Brizioli, non è che il “regno assoluto dell’incertezza”. Gli scienziati sono stati in grado di dimostrare che questa è la teoria fisica sperimentalmente meglio confermata. Nonostante sembri un ossimoro, infatti, si osserva che i fenomeni naturali non hanno niente di certo, come ci insegna lo stesso Principio di indeterminazione di Heisenberg. Non si tratta soltanto della nostra ignoranza dell’essenza dei fenomeni con cui entriamo in contatto ogni giorno; anche ammesso ci fossero dei parametri in gioco che non siamo ancora stati in grado di captare, la fisica ci insegna che le leggi deterministiche sono destinate inevitabilmente a collassare.
Questo è il motivo per cui la scienza non è la disciplina delle risposte, ma quella che ipotizza dei comportamenti e applica dei modelli matematici per verificare che le teorie formulate siano corrette. Il perché i modelli matematici descritti una volta applicati alla realtà funzionino è ancora una questione aperta a cui non si è capaci di rispondere, soprattutto se si pensa che i principi che regolano la natura sono costruiti dall’uomo e dettati dal suo buon senso. Si evince da queste osservazioni che la scienza non può “predire” il futuro, ma può solo rispondere in termini probabilistici all’interno di certi intervalli di confidenza, è questa la risposta più onesta che possiamo ricevere.
Detto ciò, è bene però tenere a mente che non si deve “credere nella scienza”. Non si tratta di un culto o di un dogma divino in cui bisogna avere fede perché, nonostante sia soggetta alle fluttuazioni della natura, può e deve essere riprodotta da chiunque in determinate condizioni sperimentali per la verifica di ciò che essa sostiene. Colui che si occupa di scrivere un articolo scientifico, ad esempio, deve spiegare le procedure messe in atto ad un lettore che deve avere un approccio curioso e critico.
La componente di incertezza, però, non deve diventare un alibi per non riuscire a dominare le circostanze. Si possono comunque fare previsioni probabilistiche che ci permettono di modellare la realtà che ci circonda e prevenire alcuni effetti disastrosi, come la terribile alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna nelle settimane scorse. Difatti, è bene riflettere sul fatto che, nonostante le incertezze, l’uomo è riuscito ad arrivare sulla luna. Ci sono fenomeni in cui proporre delle previsioni risulta oggigiorno impossibile: come gli effetti sismici dovuti ai movimenti delle placche all’origine dei terremoti, dato che si conoscono le leggi fisiche che li governano ma non le condizioni iniziali geologiche presenti, o l’andamento degli indici in borsa e tutti i sistemi dinamici impropri di questa tipologia, dove al contrario sono note le condizioni a contorno ma non le leggi matematiche alla base del loro andamento. In relazione a questi eventi, è interessante il riferimento proposto dal professor Londei riguardo la Teoria del Caos, diffusasi romanticamente sotto il nome di “effetto farfalla” dalla forma in cui si presenta la divergenza delle traiettorie dei fenomeni studiati. Questa riguarda in particolar modo i sistemi dotati di caratteristiche intrinsecamente non lineari, da cui ne consegue un comportamento piuttosto peculiare: dotato di una infinitesima incertezza iniziale, una volta avvenuta una perturbazione, per quanto microscopica sia, il sistema è destinato ad esplodere, mostrando in uscita una morfologia profondamente diversa da quella che avrebbe avuto in assenza della perturbazione (un esempio banale in fisica è il problema dei tre corpi). Tutto ciò, però, non giustifica un atteggiamento fatalista nei confronti delle azioni che facciamo e delle conseguenze che ne possono derivare: il futuro lo si prevede semplicemente disegnandolo, in quanto ogni passo che facciamo in avanti ha una certa probabilità di successo o di fallimento. La possibilità che piova non può fermarci dall’uscire di casa.
Facendo riferimento in maniera specifica al progresso scientifico, ci interroga su un argomento estremamente attuale: l’intelligenza artificiale ed i suoi risvolti futuri. Il professor Londei risponde con un’ulteriore domanda: cosa si intende per intelligenza? In realtà, nessuno è in grado di darne una definizione, nemmeno gli psicologi cognitivi esperti nel settore. A riguardo si cita il Test di Turing, che dovrebbe essere in grado di determinare l’intelligenza di un soggetto basandosi sul principio dell’imitazione, finalizzato ad esempio a determinare se una determinata macchina sia o no pensante. A riguardo, si propone una riflessione su una versione più avanzata denominata “stanza cinese” e ideata dal filosofo John Searle. Questa, attraverso un esperimento mentale costruito sulla difficoltà di comunicazione dovuta alla diversità linguistica, ha come scopo quello di evidenziare il ruolo fondamentale della comprensione della fantomatica definizione di intelligenza. Da qui, diventa spontaneo il passaggio da “intelligenza artificiale” a “stupidità artificiale”, dato che quello che può fare attualmente la macchina è al massimo essere programmata in modo tale da eseguire un processo di machine learning, estraendo in modo automatico dalle incertezze in gioco le leggi che rendono meno offuscati gli scenari futuri.
L’approccio che oggi dobbiamo avere verso le emergenti macchine artificiali, come ad esempio i bot, è lo stesso che abbiamo nei confronti di un coltello, ci avvisa il professor Gammaitoni. Si tratta di strumenti che ci possono aiutare a svolgere determinati compiti, come il coltello ci aiuta a tagliare il pane senza usare le mani, ma a cui bisogna prestare molta attenzione perchè possono danneggiarci. I rischi collegati ad un uso poco consono derivano dal funzionamento stesso della macchina, la quale prende in input la richiesta postale e tutte le informazioni disponibili in rete riguardo quella tematica, riciclandole e sintetizzandole per offrire in output una risposta fondata su indici di probabilità. Questo significa che ciò che essa produce è solo il responso più probabile, da una parte sinonimo di banale, rendendo il dispositivo stesso inutilizzabile per problemi in cui viene richiesta l’originalità, dall’altra sinonimo di verosimile, che non necessariamente vuol dire vero. Concludendo, bisogna essere coscienti degli strumenti con cui si opera, da cui risulta necessario difendersi, e sarebbe preferibile un approccio critico ed una mente pensante e giudice che sia pronta a mettere in discussione la macchina per discernere ciò che è reale da ciò che non lo è.
Al prossimo articolo!
La Luna di Ariosto
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