Quintus Horatius Flaccus è stato un poeta latino vissuto tra 65 e 8 a.C. Molte delle sue espressioni sono diventate famose, come aurea mediocritas, est modus in rebus e carpe diem.
Vita
Orazio nacque a Venosa nel 65 a.C. Il padre era un liberto e svolgeva un lavoro redditizio ma abbastanza sgradito: era un esattore di tasse. Ciò gli ha permesso di dare al figlio una buona istruzione a Roma, Napoli ed Atene, dove studiò la filosofia ed in particolare l’epicureismo.
Viene definito anche poeta soldato, dato che combatté nella Battaglia di Filippi del 42 a.C. Tornò in Italia nel 41 a.C. grazie ad un’amnistia, però trovò i suoi poderi confiscati.
La svolta nella sua vita avvenne nel 38 a.C., quando avvenne l'incontro con Menate, il quale dopo nove mesi lo accolse nel suo circolo. Nacque tra loro un’amicizia fortissima, basata sulla stessa fede epicurea e su di un affetto profondo che li portò ad essere sepolti insieme. Mecenate fece un dono ad Orazio: una villa ed un podere in Sabina, che diventò per il poeta il rifugio dai disagi della città.
Le sue opere principali sono
Satire (esametri, 41-30 a.C.)
Epòdi (metri giambici, 41-30 a.C.)
Odi (metri vari, 30-13 a.C.)
Epistole (esametri, 23-13 a.C.)
Satire - Sermones
Orazio chiama le sue satire “Sermones” (per l’uso del sermo cotidianus da cui elimina le espressioni rozze) ed organizza i 2000 esametri totali in due libri.
La satira nacque a Roma (diceva Quintiliano: “Satura tota nostra est”) e l’unico autore che si era dedicato a questo genere prima di Orazio era stato Lucilio. Questo aveva conferito alle satire l’impostazione soggettiva e allocutoria, presentandole come un’invettiva contenente una riflessione morale ed il gusto per l’intrattenimento. Orazio, però, viene infastidito dalla scrittura pesante e sporca del suo predecessore e sottolinea la necessità del labor limae, che desume dalla poesia alessandrina.
Orazio dedica un ampio spazio alla riflessione sul genere nella quarta e decima satira del primo libro e nella prima del secondo libro, dove tenta di spiegare questo genere per capire quali sono le sue caratteristiche fondamentali. Qui cerca anche di nobilitare la materia, confrontandola con la commedia greca (archaia). Entrambe presentano l’unione di seri e leggeri/comici, nel tentativo di affrontare tematiche importanti in maniera piacevole e dilettevole (nelle Epistole scriverà: “miscere utile dulci”). Il carattere dell’invettiva caratterizza sia l'uno che l'altro genere, ma nelle satire si abbandona l’attacco diretto alla persona per colpire solo il vizio. E’ comune l’impostazione soggettiva, anche se l’autore introduce l’Orazio satirico: personaggio in divenire che esprime le proprie opinioni e considerazioni non come una persona arrivata o matura ma in cammino come il resto dei personaggi.
Orazio ha una visione aristocratica della letteratura, dato che scrive le satire immaginando un pubblico (es. Virgilio, Mecenate, Asinio Pollione, Messalla Corvino…) formato da una elite di persone colte che possano comprendere i riferimenti culturali che inserisce.
La via di mezzo
Nelle varie satire Orazio propone argomenti come l’iter brundisinum, la favola del topo di campagna e del topo di città e l’avaritia. Quest’ultima è da intendersi nel senso latino del termine come avidità e cupidigia: il volere tutto per sé senza mai saziarsi. Da qui l’autore parte per sviluppare i concetti di “est modus in rebus” (c’è una misura in tutte le cose) ed “aurea mediocritas” (via di mezzo aurea). Entrambe esprimono la condizione migliore che si possa raggiungere attraverso l’autarkeia, il controllo delle passioni e la metriotes (la teoria del giusto mezzo), in cui regna una stabilità ed un equilibrio tali per cui non si eccede, non si esagera. Alcuni esempi sono il cibo (l’autore mostra l’immagine del conviva satur), il vino (Orazio celebra continuamente il vino, ma non chi si ubriaca fino a perdere la propria dignità) ed il sesso (non bisogna innamorarsi e lasciarsi andare troppo alle passioni). A ciò si accompagna l’espressione “aequam memento servare mente” (ricordati di conservare una mente giusta e stabile), ovvero un invito a trovare nella vita un’armonia.
Scelte stilistiche
L’atteggiamento assunto da Orazio (moraleggiante, soggettivo…) si ricollega alla diàtriba, ovvero la conversazione che i filosofi cinici e stoici tenevano nelle piazze attaccando duramente un vizio od una persona. L’autore mette in pratica la brevitas, cercando di essere sintetico ed efficace allo stesso tempo. Quando Orazio evita i termini scurrili, adotta l’atteggiamento di colui che vive in città ed è chiamato ad avere una certa eleganza nel discorso, nelle scelte e negli atteggiamenti: concetto dell’urbanitas (forma espressiva piacevole e moderata).
Inoltre, usa la tecnica espressiva della callida iunctura, che consiste nell'utilizzo di frasi chiave, intelligenti ed astute, date dal collegamento ingegnoso di parole esistenti di uso comune che vanno ad indicare cose diverse per esprimere dei concetti importanti (esempio: carpere significa raccogliere ed era usato nella coltivazione e diem sta per giorno, carpe diem va poi tradotto con “cogli l’attimo”).
Epòdi - Iambi
Orazio scrive “Iambi”, una raccolta di 17 componimenti che dedica a Mecenate e che hanno 2 modelli greci: Archiloco ed Ipponatte. Le caratteristiche sono l’attacco personale, la derisione, gli argomenti e i toni realistici e l’uso di metri giambici, tipici di questo genere.
Lui è il primo a Roma ad usare l’epòdo, sistema metrico messo in atto da Archiloco in cui c’è un verso lungo seguito da un verso breve a formare una sorta di distico.
Gli argomenti sono molto vari, perché inserisce una realtà multiforme: riferimenti alla politica, elementi autobiografici, componimenti gnomici (offre opinione e morale su di un costume o una situazione) e l’invettiva. A questo proposito, si possono distinguere alcuni filoni tematici: filone propriamente giambico, argomento magico (descrive anche aspetti spiacevoli della magia), argomento sessuale (aggiunto al gusto per il brutto e per il deforme), tematica civile (rimprovera i Romani di avere un atteggiamento fratricida, maledizione radicata già dallo scontro tra Romolo e Remo), motivo dell’amore (le donne avide sono la causa l’impoverimento dell’uomo), aprosdoketon (l’imprevisto) e motivo simposiaco (il vino risolleva gli animi, porta convivialità ed amicizia, “nunc est bibendum” cioè è il momento di bere).
Nonostante siano contemporanei alle satire, gli epòdi hanno uno stile più passionale ed aspro, comunque accompagnato dal labor limae.
Odi
Orazio celebra nelle Odi il suo ruolo di lyricus vates, ovvero di poeta che si pone come vate perché ha una sorta di investitura divina e sacrale. Le Odi sono divise in quattro libri, di cui l’ultimo ha uno stile più elevato per l'esaltazione di Augusto.
I modelli sono quelli della lirica monodica greca: i poeti dell’isola di Lesbo (Alceo e Saffo), Anacreonte e Pindaro. In quest’ultimo Orazio riconosce un grande talento naturale che lui non ha e che deve coltivare attraverso studio, impegno e labor limae.
Siccome si rivolge ad un pubblico dotto, utilizza l’arte allusiva. Quindi parte da una frase di Pindaro, Creonte od Alceo e la rielabora in un modo del tutto originale, ma chi lo legge sa qual è il contenuto di partenza.
Le principali tematiche affrontate sono fugacità del tempo (il “carpe diem” non è un invito edonistico ad un piacere immediato ma a vivere il presente e la propria vita, dato che il futuro è incerto), filone erotico, filone religioso (poesia legata a riti e celebrazioni particolari), poesia civile (condanna i vizi del suo tempo ed esalta le virtù del passato e degli eroi antichi, legandosi alla celebrazione di Augusto), tema simposiaco.
Epistole
Le Epistole sono due libri in esametri, di cui l’ultimo comprende l’Ars poetica, circolata in maniera autonoma nel Rinascimento.
In età avanzata e matura, Orazio torna all’esametro ed in parte allo stile satirico e colloquiale, riprendendo alcune delle tematiche già trattate nei Sermones. La differenza consta nel genere epistolare di occasione: al destinatario vengono riferiti argomenti più circostanziati.
I valori che vengono promossi sono sempre gli stessi, però c’è una maggiore apertura. Infatti, non disdegna gli ideali di altre filosofie se questi rientrano nel suo messaggio. A ciò si aggiunge la maturità dell’autore che è ormai più disilluso (nelle odi scrive “pulvis et umbra sumus”), cerca la solitudine ed assume un atteggiamento più pratico (suggerisce di cercare di creare amicizie con i potenti).
L’Ars poetica è un manuale in esametri destinato a Pisone ed i suoi due figli. Qui Orazio spiega come si faccia poesia, quale sia il ruolo del poeta e come esso si debba porre. Afferma che senza ingenium e senza ars non è possibile fare poesia, perchè per arrivare a certi risultati deve esistere una capacità naturale da coltivare con lo studio ed il lavoro .
Nell’epistola indirizzata a Bullazio, l’autore presenta la sentenzia ossimorica “strenua nos exercet inertia”, che sta ad indicare l’inutilità del viaggio al cospetto di un animo inquieto che non riesce a trovare se stesso: “Quod petis hic est, est Ulubris, animus si te non deficit aequus” (quello che cerchi è qui, se non ti manca l’animo equilibrato) e “Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt” (il desiderio di viaggiare ti fa cambiare paesaggio e cielo, ma non il tuo animo: inutile che cambi ambiente perché non ti potrai mai realizzare finché non troverai lo scopo della tua vita).
Al prossimo articolo!
L(&A)
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