Quali meraviglie racchiude il MusA - Museo dell'Accademia delle Belle Arti di Perugia? Scopriamolo insieme!
Cenni storici
L'Accademia delle Belle Arti di Perugia è stata fondata nel 1573 con il nome di "Accademia del Disegno"). Si tratta della seconda Accademia costruita in Italia dopo quella di Firenze, istituita dieci anni prima.
L'Accademia si articola in più sedi, ma la prima si trovava presso l'Oratorio Salesiano di Porta Sole. I fondatori furono il pittore Orazio Alfani e l'architetto-matematico Raffaello Sozzi. Questa collaborazione testimonia l'importanza che un'accademia poteva assumere per gli eruditi dell'epoca, i quali usavano incontrarsi ogni domenica mattina e discorrere di argomenti vari (pittura, geometria, architettura, scultura, letteratura...).
Un personaggio che ha letteralmente rivoluzionato l'Accademia di Perugia fu Tommaso Minardi, il quale aveva assunto il ruolo di direttore per un proficuo triennio. E' stato lui ad averle conferito il titolo che oggi conosciamo ("delle Belle Arti"), a renderla pubblica e ad averla avviata verso l'accezione di Museo (MusA). Inoltre, ha anche contribuito al conferimento di borse di studio agli alunni che si dimostravano più meritevoli e che così potevano recarsi in altre città italiano, come Roma e Firenze, per approfondire gli studi.
Il Museo è diviso in tre parti: Gipsoteca (zona riservata ai gessi), Gabinetto delle Stampe e dei Disegni e Pinacoteca.
Gipsoteca
La Gipsoteca incarna un tratto distintivo dell'Accademia di Belle Arti di Perugia, perchè ne testimonia la volontà didattica, il valore, la storicità e l'unicità.
I calchi in gesso delle opere originali qui ospitati raggruppano statue di vario genere: elleniche, rinascimentali e anche calchi urbanistici. I primi ad essere stati esposti erano stati donati da Vincenzo Danti che nel 1573 aveva portato i gessi delle statue oste a sormontare le Tombe Medicee.
Il pastorello
Il Pastorello è uno dei quattro calchi in gesso dell'omonima statua realizzata dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen e supervisionati dall'artista stesso. L'opera originale di stile neoclassico risale al 1817 ed è custodita a Copenaghen.
La scena è composta da due soggetti. Il protagonista è il giovane pastore che poggia su un rocchio a contatto con il vello di una pecora. Conforme alla tendenza neoclassica di immortalare l'attimo che segue o precede il momento dell'azione, il fanciullo si trova in una situazione di quiete e profonda stasi. Si tratta dell'istante in cui l'intelletto ha completo dominio sulle passioni. Il suo aiutante è il cane che lo accompagna in modo non anelante, ma calmo e con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte.
La condizione di serenità è favorita dalla resa dell'anatomia che non è tesa e dalla muscolatura non definita che sembra quasi assente. E' questo il momento in cui il corpo incarna la definizione dell'armonia, del fascino innocente e dell'eleganza senza fronzoli, predicando il bello in funzione del bello.
Galata morente
Il Galata morente è una statua in marmo custodita nei Musei Capitolini, a Roma, come copia di un bronzo greco realizzato nel 230 a.C. da Epigono.
Il guerriero celtico presenta un'anatomia tesa, rendendo il messaggio empatico esattamente opposto a quella de Il Pastorello. Galata giace morente sul fianco, con un corpo sofferente a causa del colpo ricevuto sul costato. Nonostante ciò, ha ancora una forza che gli permette di reggersi e di guardarsi la ferita. Questa nell'originale bronzeo avrebbe reso la scena ancora più drammatica, dato che sarebbe stata insanguinata ed accompagnata sul costato dalla lama in rame che l'aveva causata.
Il guerriero è completamente nudo fatta eccezione per il collare in manifattura celtica tòrques che indossa al collo e che ha una funzione apotropaica, di protezione. La base della statua corrisponde ad uno scudo, cosa che ci fa ricondurre l'opera ad Epigono sotto l'identificazione del Galata trombettiere descritto da Plinio.
Discobolo
Custodito nel Museo Nazionale Romano, il Discobolo ha subito un calco in gesso donato al Museo MusA di Perugia dal cardinale Ercole Consalvi nel 1821.
Lo scultore è stato in grado di immortalare il momento antecedente all'azione, in cui l'atleta Giacinto girando coglie lo slancio e la forza necessaria per lanciare il disco. La volontà è quella di rappresentare una scena dinamica attraverso un corpo in movimento che sembra quasi sospeso nello spazio.
Laocoonte
Il Locoonte è una statua ellenistica realizzata dagli scultori greci di Rodi Agesandro, Polidoro ed Atenodoro e attualmente custodita nei Musei Vaticani, a Roma (2). Inoltre, un'altra copia è locata agli Uffizi di Firenze (3). Il calco in gesso (1) è stato donato al MusA nel 1836 da Francesco Guardabassi.
L'episodio che precede la caduta di Troia viene rappresentato anche in un saggio di Goethe, ma la narrazione più famosa appartiene all'Eneide. Virgilio fa raccontare ad Enea l'inganno del cavallo ordito dai Greci: dopo che loro si erano nascosti sull'isola di Tenedo, Sirone finse di essere scappato al sacrificio al quale era stato condannato per placare l'ira di Atena successivamente al Ratto del Palladio. Lui disse ai Troiani che anche il cavallo aveva la stessa funzione come offerta votiva alla dea. Oltre a Cassandra, il sacerdote Laocoonte fu l'unico ad accorgersi dell'inganno e per verificare la propria tesi decise di colpire il ventre dell'animale di legno con la spada, appurando che non era cavo e potenzialmente insidioso (appartiene a questo passaggio la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentis, che significa "Temo i Greci anche se portano doni"). E' questo il momento di massimo pathos, dato che Atena fa sì che dall'acqua emergano due serpenti che puniscono Laocoonte stritolando e mangiando lui ed i suoi figli. La ragione che aveva spinto la dea a questa azione era la necessità per il piano dei greci di funzionare, ma i Troiani lo interpretarono come un castigo per aver osato danneggiare un dono in suo onore.
La scena è rappresentata in maniera altamente drammatica. Mentre Laocoonte si contorce dal dolore per essere stato appena morso dal serpente e spaventato dall'idea di veder morire in quel modo i suoi figli, il più giovane dei due si è ormai arreso alle contorsioni dell'animale che lo stritola ed il più grande lotta ancora inorridito con la speranza di potersi salvare. I volumi divergenti e contrastanti trasmettono un dinamismo esasperato che si aggiunge ad una violenza espressiva derivata dalla cinesica dei personaggi,
Tra le versioni qui sopra riportate è possibile notare una differenza: la posizione del braccio. Infatti la statua originale era stata rinvenuta nel 1506 senza arto superiore. C'era chi sosteneva che fosse steso verso l'alto e altri che dicevano posizionato piegato in direzione della testa. Nel calco in gesso si era optato per l'estensione del braccio, finché nel 1907 non è stato ritrovato il pezzo mancante che si è rivelato flesso e indirizzato verso la fronte.
Antonio Canova - Le Tre Grazie
Delle opere di Canova c'è più di un calco in gesso nella Gipsoteca, alcuni realizzati dall'artista ed altri donati dai suoi allievi.
Un esempio è l'enorme Testa di Cavallo (1807); si tratta di un unicum nella storia dell'arte dato che la statua originale non ci è pervenuta e non ci sono altre copie di essa.
Un altro è il Lottatore, che testimonia la capacità dell'artista di realizzare in marmo forza e robustezza e non solo arte come delicata bellezza (esempio: Amore e Psiche). Il giovane sta per sferrare un pugno al suo avversario nella Lotta del Pancrazio, ovvero una disciplina sportiva dell'Antica Grecia che racchiudeva tecniche di arti marziali diverse (pan-cratos: "tutte le forze").
Il complesso statuario più importante, però, si identifica in Le Tre Grazie, il cui calco in gesso, realizzato da Canova in persona, arrivò a Perugia nel 1821 grazie ad Ercole Consalvi. L'opera è la massima rappresentazione dello stile neoclassico e raffigura in un abbraccio che ne suggella l'unione le figlie di Zeus: Aglaia, Eufrosine e Talia. Tra esse c'è un panneggio che le avvicina, mentre la minuta colonnina circondata dalla ghirlanda ha la funzione di sostegno dell'intera composizione.
Gabinetto delle Stampe e dei Disegni
Il Gabinetto delle Stampe e dei Disegni contiene vari elaborati, anche frutto di lasciti e donativi degli allievi dell'Accademia stessa al MusA. I 6000 disegni e le 2000 stampe sono testimonianza dell'eterogeneità della Perugia del'800.
Pinacoteca
La Pinacoteca contiene varie opere d'arte derivate da XIX e XX secolo.
In particolare l'800, secolo florido e ricco, ha lasciato traccia degli insegnamenti dei maestri di formazione romana, dello spirito classicista, delle influenze medioevali e rinascimentali, dello sviluppo del purismo, della ripresa della tradizione italiana (Perugino, Leonardo, Michelangelo, Raffaello) e della diffusione del verismo e dello spirito romantico.
I molti ritratti e le teste di carattere avviano al percorso di indagazione dell'introspezione del personaggio rappresentato.
Mariano Guardabassi realizzò l'opera Socrate sorprende Alcibiade in una casa di tolleranza. Il titolo parla da sé: il filosofo scopre che il suo discepolo, probabilmente anche suo amante, sta amoreggiando con delle lupanare. La particolarità interessante del quadro consiste nella vasta eterogeneità di stili:
- disposizione dei personaggi secondo una prospettiva manierista;
- grande gusto antiquario;
- gioielli dipinti sulla punta del pennello;
- donne realizzate in conformità spirito purista;
- veduta neoclassica con tempio a capitelli corinzi.
Un'altra opera d'arte degna di attenzione è La sorgente (1). La fanciulla incarna una femminilità allegorica rafforzata dai lunghi capelli fluenti, mentre alle sue spalle sgorga acqua dalla roccia. Le pennellate sono pregne di luce e mostrano una grande abilità nella resa della natura e dei corpi umani.
I quadri (2) e (3) sono stati realizzati dal pittore del '9oo Gerardo Dottori.
Foto realizzate da L(&A).
Al prossimo articolo!
L(&A)
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